Atto Medico

d302922L’onorevole Vittoria d’Incecco sta per presentare alla camera una proposta di legge in tre articoli sull’atto medico. La sta per presentare, come Fantozzi che “sta” per partire per le vacanze ma non parte mai, verrebbe da sospettare.

In ogni caso al di là del futuro percorso della legge, andiamo a darci un occhio.

Una lunga, fumosa e inutile presentazione: vorrebbe fare la storia della medicina a partire da Ippocrate, ma tra Galeno (130 d.c.) e il nostro Morgagni (1682) cita solo Avicenna. Poi Koch, Fleming, Papanicolau, Montalcini, Barnard e Kolf. Davvero bizzarro miscuglio da parte di un medico di Medicina Generale, specialista in reumatologia, iscritta al Partito democratico!

Vorremmo suggerirle un po’ di storia: la medicina attuale nasce con il cristianesimo, che trasforma la malattia da colpa del paziente a occasione di carità e assistenza. Questo modello di medicina si afferma in occidente e dura incontrastato fino al 1929, quando Mussolini capisce che la medicina è anzitutto uno strumento di consenso.

Ora, la non-storia della deputata PD è la base su cui elabora la proposta di legge sull’atto medico che non risolve i problemi che affronta.

I problemi sostanziali dell’atto medico vanno anzitutto distinti tra il versante medico e il versante chirurgico. Dal punto di vista medico è chiaro che la diagnosi oggi si confronta sempre più con algoritmi e linee guida che tendono a ridurre la libertà del medico e ad uniformarne il comportamento. L’ideale è ovviamente il computer con il camice, che visita, fa diagnosi, emetta la prognosi e prescrive la terapia in modo ripetibile e infallibile. Essendoci ancora qualche difficoltà tecnica per questo obiettivo, la d’Incecco ricorda che il medico deve rispondere del proprio operato solo al paziente. Va bene, ma non spiega cosa succederà a questo medico quando qualcuno gli contesterà di aver ignorato una qualche linea guida provocando un qualche danno (economico allo stato o al paziente o di salute al paziente)

Il versante chirurgico ovviamente non ha tutta questa libertà di azione, ma a fronte di una determinata terapia deve dimostrare la propria perizia in un contesto di risorse limitate e gestite da altri.

I tre articoli della legge sembra che abbiano un unico merito: cioè di unificare la responsabilità dell’atto medico, oggi troppo soggetto a frammentazione tra le numerose figure professionali sanitarie.

Purtroppo questa legge non affronta alcuno dei veri problemi della professione oggi, che potrebbero essere elencati in modo esemplificativo e non esaustivo nel modo seguente:

  • limitatezza delle risorse a disposizione, attribuzione al medico di funzioni di regolazione della spesa sanitaria che esulano dalla sua figura professionale;
  • uso strumentale, a fini di consenso politico, della medicina;
  • mancanza di una ipotesi seria per una medicina sostenibile;
  • continua evoluzione del sapere medico in assenza di percorsi di aggiornamento reali e non burocratici;
  • rapporto incerto e labile con la magistratura, i cui pronunciamenti non possono mai essere previsti in anticipo, in una totale anarchia giuridica che toglie serenità all’agire medico;
  • mancata valorizzazione delle professioni sanitarie non-mediche in una relazione organica con i medici;
  • disorganizzazione del percorso di studi, perdita di una visione unitaria della medicina, esagerato peso della superspecializzazione pagata con la mancanza di un affronto globale delle problematiche del malato;
  • smarrimento dell’identità professionale del medico, del suo orizzonte deontologico e dei requisiti per l’esercizio: sfiduciati circa l’efficacia dell’insegnamento universitario sembra che i nostri legislatori siano perennemente alla ricerca di criteri che consentano di  “autorizzare” l’atto medico.

Si tratta di tematiche che ovviamente potevano e dovevano essere tenute presenti nella scrittura del progetto di legge. Ma non vi sono!

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